Intervista al Subcomandante Moises
articolo e foto di DIEGO ENRIQUE OSORNO per Milenio - Traduzione di 20zln - 02.01.2021
Per i 27 anni dell’insurrezione armata dell’EZLN, il subcomandante Moisés
afferma: “Abbiamo fatto quel che serviva”.
La chiacchierata di ieri con l’attuale dirigente zapatista che quel 1°
gennaio del 1994 ricopriva il grado di maggiore, ruota intorno alla data del
calendario marcata dai ribelli indigeni con la loro insurrezione.
—Per capire il ’94, bisogna tornare indietro, puoi raccontarci gli anni prima della sollevazione?
—Sì, nel 1983 sono arrivati alcuni compagni sulle montagne del Sud-est
messicano e diciamo che hanno iniziato a reclutare i compagni, sono così
aumentati i membri dell’organizzazione, poi hanno iniziato con i villaggi,
insomma, dall’83 fino al ’93 è stato il periodo del reclutamento, il periodo
della clandestinità.
I compagni sono stati cercati uno per uno e poi è cambiato il modo, il
metodo di reclutamento, perché i popoli, le comunità indigene hanno le proprie
modalità, si conoscono collettivamente, come gruppo, quindi sono stati
reclutati quelli con una certa autorità morale. Da lì ci siamo organizzati con
i villaggi, adesso sì, perché già cominciavano ad esserci quelli che oggi
chiamiamo villaggi e poi regioni. Una regione è composta da più villaggi, ci
sono regioni che ne hanno 20 o 30 e così via, questo è quel che chiamiamo una
regione.
E mentre stavamo crescendo nei villaggi e nelle regioni, politicamente, ci
siamo preparati militarmente, i compagni e le compagne si sono organizzati,
finché è arrivato il giorno, e si è deciso: adesso sì, è ora, dobbiamo uscire.
– Che impatto ha avuto sull’organizzazione l’arrivo di alcuni membri dalla
città in quegli anni?
– Si cominciarono a capire molte cose, perché le comunità non erano organizzate in quel modo. Sto cercando di dire quanto sia stato importante l’arrivo dell’EZLN, che ha cominciato a prendere in considerazione le donne, che prima non venivano prese in considerazione. Sebbene esistessero alcune organizzazioni, non venivano mai prese in considerazione. Questo è quello che è successo, quello che ha rappresentato in quel momento, c’era più organizzazione e rispetto per le donne.
– Il 1° gennaio del 1994, lei ricopriva l’incarico di maggiore, ancora non
era subcomandante. Come ha vissuto i preparativi di quel giorno?
– Siamo venuti tutti, come insorgenti o come truppe, siamo venuti tutti a
prepararci. Prima ancora che come maggiore, sono arrivato come insorgente
Moisés, ci siamo trovati quindi qui in montagna, aiutando allo stesso tempo a
preparare i compagni miliziani; Là, all’interno delle truppe ribelli, dovevamo
sostenere degli esami per passare da un grado a un altro, iniziando come
sottotenente, luogotenente, poi secondo capitano, primo capitano, poi maggiore
e così via. Quindi, sì, il mio grado quando siamo partiti il 1° gennaio del ’94
era maggiore, come era noto pubblicamente. C’è una certa preparazione che
abbiamo ricevuto e, parallelamente, un’altra preparazione speciale, perché
siamo usciti in città, perché è diversa la montagna dalla città, e dovevo stare
con il compagno subcomandante insorgente Pedro, che era il mio comandante, è
lui che mi stava insegnando, preparando, addestrando.
E sì, ci ha insegnato e spiegato molte cose, mi diceva che a quei tempi,
prima del 1994, avrei dovuto prepararmi “perché un giorno succederà proprio
come sto facendo adesso con te”, che dovremo spiegare cosa siamo e un giorno
dovremo parlare con il popolo del Messico, gli insegnanti, gli studenti, i
lavoratori eccetera, ci diceva.
– Cos’altro vi consigliava il subcomandante Pedro durante quegli anni di
formazione?
– Diceva anche che bisognava prepararsi, perché non si sa a chi tocca
morire, e sì, è proprio vero. E oggi lo vediamo, eravamo clandestini, ma ora ci
stiamo organizzando con i compagni, come in questo caso del Congresso Nazionale
Indigeno, ora stiamo lavorando apertamente con il popolo. Poi è successo quello
che è successo, come aveva detto lui, quando siamo partiti all’alba del 1994,
ho dovuto fare quello che mi competeva, quello che mi aveva detto lui,
qualunque cosa fosse successa, dovevo andare avanti e assumermi la
responsabilità, e sì, ho capito quello che mi aveva detto dall’inizio:
qualunque cosa accada, bisogna continuare a lottare ed eccoci qui, l’abbiamo
fatto.
– Com’è stato per lei il 1° gennaio del 1994?
– Insieme al subcomandante insorgente Pedro mi era toccato prendere la
presidenza di Ocosingo. A lui era toccato stare di fronte alla presidenza e io
da un lato, dov’era posizionata la polizia, quindi quel che è successo è che
siamo rimasti separati dalle rispettive posizioni, ma ci eravamo detti che
avremmo comunicato nel momento in cui saremmo andati alla presidenza
municipale.
Stavo aspettando il suo ordine, ma, quando non è arrivato ho dovuto inviare
un elemento di collegamento per sapere cosa stava succedendo. Questo ha
richiesto molto tempo ma poi ha riferito che il sub Pedro era caduto in
combattimento, quindi da quel momento ho dovuto assumere il comando e decidere
cosa bisognava fare. E la prima cosa che è stata fatta è stato andare a
recuperare il corpo del compagno subcomandante insorgente Pedro, l’ho
recuperato, gli ho sollevato la testa, gli ho parlato per vedere se ancora era
vivo, ma non lo era, e così abbiamo portato portato il suo corpo in una
comunità Zapatista.
Ma dovevamo andare avanti, è quello che dovevamo fare in quel caso,
dovevamo andare avanti. È quello che stavo organizzando, dovevamo avanzare in
un’altra città, Comitán, ed è quello che stavamo facendo, ci stavamo muovendo per
organizzare l’avanzata, poi è arrivato l’ordine di ritrarsi dal subcomandante
insorgente Marcos, ed abbiamo dovuto ripiegare perché quello era l’ordine. E
così è stato.
deo@detective.org.mx
https://www.milenio.com/opinion/diego-enrique-osorno/detective/hicimos-lo-que-tocaba-sub-moises
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